Quando si parla di qualità di una farina, e di controllo qualità, due sono le considerazioni da fare:
- I risultati analitici vanno sempre valutati a seconda del tipo di prodotto per le quali sono utilizzate
- La qualità del prodotto finito è direttamente proporzionale allo stato plastico e fermentativo dell'impasto al momento dell’infornata.
Una buona “macchinabilità” degli impasti è cosa gradita agli utilizzatori finali, ma certamente più importante è garantire tempi ottimali di fermentazione, che dipendono dalla qualità delle farine e dai metodi di lavorazione adottati. Il panettiere comincia un impasto, lo lavora, lo taglia, lo forma, e lo mette sulle assi a lievitare, quindi ne comincia un altro. Appena le forme di pasta raggiungono la massima lievitazione sono infornate, e il panettiere mette quelle del secondo impasto sulle assi a lievitare, poi comincia un altro impasto. Terminata la cottura del primo, le forme di pane del secondo impasto devono aver raggiunto la massima lievitazione, e il terzo impasto deve essere pronto, lavorato, formato per essere messo sulle assi a lievitare. Il ciclo di lavorazione all'interno di un panificio è continuo e i tempi per assecondare la lievitazione ottimale degli impasti sono estremamente limitati, sia se questi lievitano troppo in fretta, sia se lievitano troppo lentamente.L’utilizzatore di farina riesce (di solito) a correggere piccole imperfezioni delle caratteristiche plastiche degli impasti rendendoli più o meno sodi, aggiungendo acqua più o meno calda, creando i presupposti per una maggior produzione di acido lattico o acetico nei processi fermentativi che rende la maglia del glutine più estensibile o tenace. Trova molto più complesso intervenire nei processi fermentativi: ritardare o accelerare la lievitazione degli impasti. Compito dei mugnai è quindi consegnare farine capaci di soddisfare le specifiche esigenze di lavorazione che in Italia prevedono lavorazioni dirette, con riporto di pasta acida, lunghe lievitazioni. Il controllo qualità sulle caratteristiche fermentative di una farina si attua mediante l’analisi reofermentometrica.
La metodica di analisi è molto semplice: 250 grammi di farina idratati secondo una tabella che tiene conto dell'umidità e del coefficiente P alveografico, vengono impastati nell'impastatrice dell'Alveografo regolata a 27 gradi centigradi. Nell'acqua, a temperatura ambiente, si sciolgono 7 grammi di lievito fresco: questo va aggiunto alla farina durante il primo minuto di impasto. Dopo il secondo minuto (uno per idratare la farina e l'altro per pulire bene i bordi dell’impastatrice), si aggiungono 5 grammi di sale e si lascia impastare per altri 6 minuti. Alla fine si pesano 315 grammi di impasto e si mettono nello strumento. Dopo 13 minuti esatti dall’inizio dell'impasto si lancia il ciclo e la macchina comincia a raffigurare, istante per istante, quello che succede durante il processo fermentativo e quindi lo sviluppo della pasta in funzione dello sviluppo del gas, il volume totale di anidride carbonica prodotta e quello ritenuto nell’impasto.
Curva fermentativa ottimale per “lievitazioni dirette"
Valutando una qualsiasi analisi reofermentometrica si può notare come, sotto la spinta dell'anidride carbonica prodotta, l'impasto comincia a crescere in volume. Inizialmente tutta la CO2 è ritenuta dal reticolo proteico, fino a quando l'impasto non diventa poroso (TX); dopo, parte viene ritenuta e parte si perde. Le quantità relative dipendono dall'elasticità e resistenza del reticolo proteico, dall'attività degli enzimi, dall’amido danneggiato presente nella farina. L’impasto raggiunge il punto di massima lievitazione T1 ed è fondamentale che Hm (altezza di T1), raggiunga almeno 50 millimetri, perché il parametro è direttamente proporzionale al volume del prodotto sfornato: più alto è e più favorevole sarà il rapporto peso/volume del prodotto finito.
Curva fermentativa ottimale per panificazione con “riporto di pasta acida”.
Il tempo che intercorre tra la fine dell'impasto e T1 è quello che l’utilizzatore di farina chiama “tenuta in lievitazione”. Una volta raggiunto il punto di massima lievitazione lo sviluppo dell'impasto si arresta, si stabilizza cedendo lentamente per un tempo che dipende essenzialmente dalla resistenza del reticolo proteico, fino ad arrivare a T2 (tempo di relativa stabilizzazione dell'impasto). Nell'intervallo di tempo tra T1 e T2, che il cliente definisce “stabilità dell'impasto o tolleranza”, le forme sulle assi a lievitare devono essere infornate perché l'impasto è su livelli fermentativi ottimali. Se si inforna prima, "giovane di lievito", il prodotto finito potrebbe risultare pesante, con forte propensione a "stringere", crosta grossa e mollica fitta, se lo si inforna dopo potrebbe "passare di lievito", e quindi risultare poco sviluppato, crosta grossa, alveoli della mollica molto aperti, colore del prodotto grigio. È importante che tra T1 e T2 intercorrano almeno venti minuti perché è vero che al fornaio occorre meno tempo per infornare, ma è altrettanto vero che, non avendo strumenti analitici oggettivi, potrebbe lavorare l'impasto leggermente in ritardo.
Curva fermentativa ottimale per “lunghe lievitazioni” (biga min. 24 ore)
Legenda delle caratteristiche reofermentometriche
T1 = tempo necessario all'impasto per arrivare alla massima lievitazione. E’ direttamente proporzionale a ciò che il panettiere definisce "tenuta".
T2 = tempo di relativa stabilizzazione. T2 - T1 rappresentano la tolleranza dell'impasto e nell' intervallo T1 - T2 ci sono i presupposti ottimali per
l'infornata.
Hm = altezza massima raggiunta dall' impasto in lievitazione. Direttamente proporzionale al volume del prodotto finito.
h = altezza della pasta a fine analisi.
(Hm-h)/Hm = rammollimento dell' impasto.
TX = arrivo della porosità dell' impasto.
T'1 = tempo nel quale si ha la massima produzione di CO2.
H'm = massima spinta lievitativa
Volume totale CO2 = anidride carbonica prodotta nel processo fermentativo.
Coefficiente di ritenzione = percentuale di anidride carbonica ritenuta dalla maglia proteica.
- T1 - minimo 1h 30 min per lavorazioni dirette, minimo 2 ore per panificazione con riporto di pasta acida, 3 ore con la pasta ancora in fase crescente di sviluppo per panificazione con biga (24 ore).
- T2 - minimo 20 minuti dopo T1 per lavorazioni dirette o con riporto di pasta acida, non deve comparire per panificazione fatte con biga (24 ore).
- Hm - minimo 50 mm per tutti i tipi di pane e tutte le metodiche di panificazione.
- TX - tutte le volte che comprare dopo 1h 30 min si ha la relativa certezza che la macinazione del grano è stata razionale in quanto il processo fermentativo rimane attivo il più a lungo possibile.
Le caratteristiche fermentative degli impasti dipendono essenzialmente dalla qualità delle proteine del grano da cui nasce la farina, e queste sono essenzialmente genetiche anche se molto influenzabili delle avversità atmosferiche, dal terreno, dalla quantità delle stesse, e dalla razionalità delle metodiche di macinazione. Questo significa che una farina derivante da un frumento che non ha un corredo genetico tale da consentire di reggere lunghe lievitazioni non avrà mai simili potenzialità, nemmeno avendo un elevato quantitativo di proteine. Se invece nasce da un frumento che ha quel tipo di potenzialità, potrà essere ottimale se le proteine sono sufficienti, l'attività enzimatica è corretta, la macinazione si è svolta nel massimo rispetto delle caratteristiche qualitative.